...briciole di architettura e design

martedì 26 agosto 2008

Cohousing, edilizia sociale


Da uno studio nazionale condotto da un agenzia di sondaggi emerge che il 64% della popolazione metropolitana vive in affitto, si adatta quindi nella vita ad un microcosmo come quello della casa non direttamente creato seguendo le proprie necessità e con disponibilità alla mobilità. Ma il dato succitato fa emergere un altro problema, quello del limitato potere d’acquisto di un immobile e della necessità di nuove forme facilmente accessibili di residenza anche temporanea e in affitto.
L’edilizia popolare che dovrebbe risolvere il problema della casa, si è trovata spesso a rispondere in maniera non adeguata alla richiesta del cittadino, scontrandos
i tra costi elevati e cattiva progettazione, spesso e volentieri si sono creati quartieri dormitorio privi di qualsiasi servizio sociale e comunitario. Ciò che emerge dalle numerose ricerche è la nostalgia del borgo, del panettiere dietro l’angolo, della piazza dove ritrovarsi i pomeriggi, dei giardini con le altalene.
In questo panorama di livello non solo italiano, il cohousing, letteralmente “coabitazione”, non solo tipologia residenziale ma vero e proprio stile di vita, da delle risposte concrete alla richiesta dell’abitare che seppur giustificate da ragioni economiche si pongono come il rilancio di forme comunitarie.
Il cohousing si introduce in una realtà urbana molto complessa, per nulla rasserenante per l’individuo che si trova in un assoluto bisogno d
i senso e di comunità; le istituzioni cercano di stimolare nuove forme di welfare per dare sicurezza alla società congestionata dalla ricerca dell’abitare ma le risposte troppo diversificate sono decrescenti.
È in questo scenario che il cohousing rappresenta una buona pratica progettuale e sociale, capace di rispondere alle nuove esigenze dell’abitare. Questo modello di coabitare è ricco di soluzioni per il recupero degli spazi e del tempo e si fonda sul principio della comunità.
Il cohousing potrebbe essere visto come un’utopia, ma è attualmente l’esperienza quotidiana di migliaia di persone in molti paesi: nasce in Scandinavia negli anni ’60, ed è oggi diffusissimo nelle regioni del nord, Danimarca, Svezia, Olanda, Inghilterra e negli Stati Uniti, Canada, Australia e Giappone.
Il cohousing cambia la struttura dell’abitazione privata inserendo benefici di natura comunitaria (micronidi, laboratori per il fai da te, a
uto in comune, palestre, stanze per gli ospiti, orti e giardini..) con vantaggi dal punto di vista sia sociale che ambientale ed economico.
Le comunità di cohousing tipicamente son
o costituite da un insediamento di 20 40 unità abitative, destinate a famiglie, single giovani ed anziani, che si sono scelti e hanno deciso di vivere come una comunità di vicinato per dare vita ad un villaggio dove coesistono spazi privati e spazi comuni.
Il fattore stimolante che porta alla coresidenza è il desiderio di ritrovare dimensioni perdute di socialità, di aiuto reciproco e di buon vicinato e contemporaneamente l’aspirazione di ridurre la complessità della vita dello stress e delle spese di gestione delle attività quotidiane.
I futuri abitanti della comunità, ossia aggregati di persone attentamente scelte che formano un gruppo promotore, partecipano attivamente alla progettazione del villaggio in cui andranno ad abitare. I cohousers non saranno legati da ideologie religiose e sociali ma metteranno a disposizione della comunità le proprie esperienze e capacità. La struttura sarà amministrata dalla comunità senza ordini gerarchici, e la gestione di manutenzione degli spazi comuni sarà svolta dalla comunità stessa.
La vita sociale sarà garantita da una serie di spazi condivisi progettati secondo un disegno preciso per agevolare tali relazioni di vicinato .
Conseguenti saranno una serie di benefici economici, il risparmio sul costo della vita sarà notevole perché verranno ridotti gli sprechi; promuovendo gruppi di acquisto solidale ci si potrà affidare a fornitori all’ingrosso per la spesa dei generi più comuni a livello collettivo, in quantità da ripartirsi fra i diversi nuclei familiari.
In Italia sono nate numerose associazioni promotrici del cohousing, tra cui CoAbitare, che fonda la propria progettazione sulla bioarchitettura ed il risparmio energetico, abbattendo i costi di 1/10 sul condizionamento dell’aria delle proprie comunità. I fabbisogni energetici avranno risposta in impianti fotovoltaici comunitari e per il raffrescamento soluzioni progettuali quali il tetto verde, il giardino pensile, il tetto ventilato garantirà un microclima temperato dell’edificio.
Gli esempi nel mondo propongono una vetrina interessante di modelli di coabitazione sia dal punto di vista della tipologia architettonica che sociale.
Famoso è l’esempio dell’Older women’s CoHo a Londra, una comunità di donne anziane desiderose di partecipare ad una forma di convivenza attiva basata sull’aiuto reciproco e la volontà di mettere in compartecipazione conoscenze e capacità.
Un esempio in cui si riscontra lo spirito di recupero urbanistico e sociale è lo Swan’s Market ad Oakland, California, dove in pieno centro città, è stato ristrutturato un ex mercato che ora ospita 22 unità di abitazione per gruppi di familiari e singles che vivono l’intensità della quotidianità della metropoli e condividono una sala cucina per incontri, una palestra, un hobby room, una lavanderia e una stanza per gli ospiti.
Un modello a grande scala, lo troviamo a Silver Spring, Washington DC, 56 unità condominiali che variano dai 50 ai 180 mq, e racchiudono all’interno una comunità urbana che condivide stanze per lo yoga, spazi gioco, biblioteche, una grande sala per cenare insieme e soprattutto grandi terrazze ricche di verde.


Nessun commento:

Posta un commento